L’italiano è una lingua ricca, piena di espressioni colorite e di paroloni fanstasmagorici. Anche se ce la stiamo perdendo un po’ “per strada” sostituendo, ad esempio, il congiuntivo con l’imperfetto, o utilizzando il linguaggio stringato della rete anche per parlare, la nostra lingua detiene uno dei vocabolari più articolati e complessi della storia, e gli stranieri lo sanno bene.

Nonostante l’influsso sempre più forte dell’inglese, lingua della tecnologia informatica, dei commerci e della burocrazia internazionale, nella sua lunga storia l’italiano ha comunque seminato moltissime parole  nelle lingue straniere. Infatti, la nostra cultura è stata per secoli il faro per tutte le nazioni del mondo occidentale tant’è che, a volte, le lingue straniere non dispongono di proprie versioni linguistiche per i prestiti dall’italiano; mentre noi, ad esempio, possiamo scegliere liberamente se utilizzare “software” o “programma”, in alcuni settori le lingue straniere non hanno altra scelta che utilizzare le parole italiane coniate per determinate cose e concetti.

Oltre ai tanti nomi di piatti e pietanze che pian piano si sono diffusi all’estero, come ad esempio “pasta” e “pizza”, e che gli stranieri prima della globalizzazione non conoscevano (un po’ come accade a noi italiani con kebab e sushi), l’italiano ha diffuso una miriade pressoché sconfinata di termini “tecnici”. La diffusione, tra l’altro, è iniziata relativamente presto con il lessico marittimo; molti esempi si ritrovano nelle parole corsaro, pilota, timone. Inoltre, grazie alla creazione dei primi sistemi bancari e del commercio, abbiamo esportato all’estero anche il gergo primigenio della finanza coniando termini come banca, mercante, investire e valuta, a cui si è poi aggiunto il lessico accademico riscontrabile in termini come università, accademia, scolaro e diploma.

Tuttavia, la vera e propria trasmigrazione europea di vocaboli italiani si assiste durante la fioritura delle lettere e delle arti in età rinascimentale in cui l’italiano, inoltre, s’impone anche come lingua della conversazione elegante. Quasi l’intero mondo oggi utilizza normalmente diversi termini italiani legati alla musica, all’arte figurativa e all’architettura, oltre che al giardinaggio. Alcuni esempi si ritrovano nelle parole opera, adagio, concerto, sinfonia o soprano e, nell’arte, gesso, stucco, cupola, duomo, affresco. Un ruolo importante lo avuto anche la maestria – tutta italiana – nell’arte della guerra, con conseguente diffusione di parole quali imboscataarsenale, cannone e soldato. Col passare del tempo l’italiano ha dettato la regola anche nel settore della moda e dell’abbigliamento esportando termini come cappuccio, pantalone, disegno e camicia. Non dimentichiamoci poi del lessico specifico della malavita; mafia, corruzione e omertà sono solo alcuni dei tanti esempi di comportamenti criminali che i nostri connazionali hanno esportato e instaurato in moltissimi Paesi stranieri.

Anche se ogni lingua ha poi adattato sui propri suoni tutti i termini presi a prestito dall’italiano, rendendoli a volte quasi totalmente irriconoscibili da noi, possiamo ritenerci soddisfatti del fatto che nel corso dei secoli la lingua italiana ha contribuito all’arricchimento culturale e linguistico di diverse lingue straniere. Oggi, purtroppo, le cose non vanno più così e si assiste, ormai da diversi decenni, a una vera e propria inversione di tendenza, tant’è che oggi l’italiano importa più parole straniere di quelle che riesce a coniare. La colpa, forse, è imputabile all’attitudine, tutta italiana, di assorbire come una spugna tutto ciò che proviene dalle lingue parlate nei Paesi stranieri di cultura dominante (America, Inghilterra, ecc.) ritenendolo sintomo di innovazione e progresso.

Prendendo a prestito parole ed espressioni da lingue straniere ci siamo “riportati a casa” anche alcuni italianismi di vecchia data che potrebbero stupirvi. Avete presente la parola “manager“, tanto (ab)usata oggi da noi italiani per sostituire “responsabile/direttore”? Il termine non è altro che un prestito di ritorno dato che l’inglese ha coniato il verbo “manage” dall’italiano “maneggiare”, adattando la terza persona singolare dell’indicativo “maneggia” ai suoni tipici della lingua anglosassone, per poi svilupparla in manager, management, ecc. secondo le regole grammaticali proprie dell’inglese. Non vi basta? Volendo fare un altro esempio, anche la parola mascara – oggi pienamente usata in italiano come prestito dall’inglese – altro non è che l’anglicizzazione del termine veneziano “màscara” con cui venivano chiamate le maschere indossate in volto dai partecipanti del carnevale.  Ultimo ma non meno importante, la celeberrima @. Fino al secolo scorso questo segno significata “al prezzo di” dal momento che nella Venezia del ‘500 veniva usato come abbreviazione di “anfora”, unità di misura e di prezzo, per le merci in vendita.

Attenti quindi quando vi trovate di fronte una nuova parola straniera: probabilmente l’abbiamo esportata noi secoli fa!

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