23 Dicembre 2012
Nessun commento

Tra i vari motivi che hanno spinto i nostri antenati a ricercare nella scrittura una rappresentazione grafica e formale della propria lingua, la necessità di ordinare quantitativamente il mondo deve aver sicuramente svolto un ruolo chiave nel processo di sviluppo verbale e della scrittura stessa. L’idea di computo come base della capacità di espressione verbale non va assolutamente presa come semplice ipotesi; in filologia esistono infatti diverse testimonianze storiche che dimostrano come il dialogo tra individui non sia altro che un’evoluzione culturale dell’attività di calcolo espressa ad alta voce. Un esempio su tutti è costituito dal verbo “tell” dell’inglese; mentre oggi viene usato per tradurre il concetto di “dire a qualcuno”, in inglese antico corrispondeva al verbo “contare”. L’attività computazionale, quindi, si è trasformata da calcolo a racconto, dato che il contare si è a sua volta evoluto in raccontare.

Mentre oggi le parole rappresentano la base di un ordinamento qualitativo del mondo e risultano nettamente distinte dal mondo del calcolo e dell’ordinamento quantitativo dello stesso rappresentato dai numeri, un tempo i sistemi di scrittura e quelli numerici non divergevano in modo così significativo gli uni dagli altri. Entrambi, infatti, erano scaturiti dalla necessità di dare una forma grafica a concetti esprimibili unicamente a livello verbale ed estremamente facili da dimenticare. Basti pensare al calcolo complesso: tutti si stupiscono di fronte a persone in grado di eseguire calcoli complessi a più di  5 cifre. Non a caso, quasi ogni cultura antica ha sviluppato un proprio sistema numerico diverso per strutturazione e ordinamento, grafia e criteri di classificazione.

Le prime testimonianze dei sistemi di numerazione si ritrovano nella cultura babilonese, in quella egizia e romana, ciascuna con un proprio sistema di numerazione additivo basato sulla ripetizione dello stesso simbolo associato a una cifra/significato; per fare un esempio, se associamo al simbolo | il valore 1, ripetendo per 8 volte quel simbolo |||||||| otterremo la rispettiva cifra. Il criterio di classificazione e la relativa strutturazione del sistema additivo dipende infatti dalla base numerica di riferimento. Il moderno sistema di numerazione in uso nelle culture occidentali, ad esempio, è a base decimale (ossia la decina); Aristotele sosteneva come ciò fosse probabilmente dovuto al fatto che ogni essere umano ha 10 dita con cui contare. A differenza del sistema babilonese, però, il nostro sistema di numerazione è di tipo posizionale e non additivo; ciò significa che invece che ripetere la stessa cifra più volte rappresentare il numero desiderato, il nostro sistema ci consente di associare un significato diverso alle cifre in base alla loro “posizione” all’interno del numero. Siamo tutti perfettamente in grado di capire che la combinazione di 1 e 8 cambia il risultato finale se anteponiamo l’1 all’8 o viceversa.

Molteplici sono stati i sistemi di numerazione utilizzati dalle civiltà antiche; dopo i babilonesi e gli egizi abbiamo infatti i sistemi: ebraico, greco, giapponese-cinese, romano, indiano ed arabo, dal cui ultimo trae origine il sistema moderno attualmente in uso. Mentre il sistema ebraico era interamente additivo e rappresentato graficamente dalle lettere dell’alfabeto, cosa che, in realtà, valeva anche per il sistema di numerazione greco ionico, quello giapponese e quello cinese, il sistema romano stava esattamente a metà strada tra l’additivo e il posizionale dato che ripeteva lo stesso segno per esprimere numeri specifici pur se alternando la posizione delle cifre per esprimere numeri diversi. Il numero tre, ad esempio, veniva espresso con tre segni verticali III, mentre il quattro e il sei erano basati sulla differenza di posizione dell’1 e del 5 (I+V = 4, V+I = 6).

Il nostro sistema di numerazione moderna, pur se riadattato dalla cultura europea occidentale, risulta invece basato su sistemi più complessi e articolati di calcolo e rappresentazioni, quali quello indiano e quello arabo.

La netta distinzione tra questi sistemi e quelli più arcaici è il riconoscimento concettuale dello zero come cifra rappresentante il “nulla”. Il simbolo dello zero deriva dalla lettera greca omicron già in uso dal I secolo d.C. L’uso dello zero come numero in sé è un’introduzione relativamente recente della matematica, che si deve ai matematici indiani, che ne l’esistenza quasi certamente dai greci dopo le conquiste di Alessandro Magno. A loro volta, gli arabi appresero dagli indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e lo trasmisero agli europei durante il Medioevo . Il nome arabo della cifra era sifr (صفر): questo termine significa “vuoto”, ma nelle traduzioni latine veniva indicato con zephirum (per semplice assonanza), poi con zero.

Inoltre, il sistema indiano è praticamente identico a quello che siamo abituati ad usare ogni giorno per contare, con l’unica differenza che quello indiano utilizza i separatori in modo diverso dal sistema arabo; oltre alle prime tre cifre della parte intera, la virgola viene messa ogni 2 cifre invece che ogni 3. Per fare un esempio, al di là di una grafia leggermente diversa da quella attualmente in uso in occidente, la cifra occidentale 1.000.000 nel sistema indiano diventa 10,00,000.

Questo sistema, pur se evoluto, è ancora troppo poco evoluto rispetto a quello arabo, in cui non esiste questa disinzione a base due, e dove, pur al di là della variazione grafica, il sistema è in grado di trascrivere cifra per cifra scardinandosi dal criterio di “composizione a rovescio del sistema indiano”. Il sistema numerico arabo è infatti una notazione decimale posizionale, ossia un sistema a base decimale di tipo posizionale con piena omogeneità dei criteri di separazione e rappresentazione di ciascuna cifra.

Vari gruppi di simboli sono utilizzati per rappresentare i numeri del sistema numerico arabo e tutti sono evoluti dai numeri indiani. I simboli utilizzati per rappresentare il sistema si sono divisi in diverse varianti tipografiche sin dal Medio Evo:

  • i “numeri arabi” ampiamente utilizzati nell’alfabeto latino, nella tavola che segue denominati “europei”, discendono dai “Numeri arabi occidentali” che si sono sviluppati nell’attuale Andalusia e in Marocco;
  • i “numeri indo-arabi“, usati nell’alfabeto arabo, si svilupparono in origine nell’attuale Iraq;
  • I “numeri indiani“, o numeri devanagari.

Il sistema di numerazione araba, tanto nella variante europea quanto in quelle indo-araba o indiana, consente quindi di scrivere i numeri senza dover alzare la penna, agevolando quindi una scrittura più rapida in quanto più fluida. Se, quindi, oggi siamo in grado di rappresentare graficamente tutti i numeri, siano essi concreti, naturali, razionali o algebrici, è merito della cultura araba.

Your Turn To Talk

Leave a reply:

Your email address will not be published.

Chatta con noi
1
Salve 👋
come posso aiutarla?