26 Dicembre 2012
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Continuiamo il nostro viaggio tra le lingue strane del mondo e andiamo in una zona che è una quasi inesauribile fonte di idiomi particolari: l’India. Quasi tutti sappiamo che la lingua più parlata del sub-continente indiano è l’hindi. Ma pochi forse sanno che, attualmente, la seconda lingua ufficiale più diffusa è il telugu, un idioma appartenente alla famiglia delle lingue draviditiche (tipiche di quest’area geografica), parlato da quasi 75 milioni di persone e diffuso soprattutto nello Stato dell’Andhra Pradesh (potete vedere dove si trova sulla cartina…).

Il telugu è caratterizzato da una scrittura basata su un alfasillabario o abugida, tipico delle scritture della famiglia Brahmica: assimilabile al nostro alfabeto latino o a quello greco o cirillico, l’abugida si differenzia per la presenza di una vocale (detta “inerente“) attaccata alla consonante. Per dare un esempio pratico e molto semplice, nell’abugida non esiste un simbolo per la consonante k: il simbolo rappresenta, infatti, solo ed esclusivamente la consonante ‘ka’; se vogliamo scrivere il suono ‘ke’, dovremo aggiungere al simbolo per ‘ka’ quello per la vocale ‘e’; tuttavia, il grafema ottenuto non si leggerà ‘kae’, ma semplicemente ‘ke’. Ci sono ovviamente modi per far diventare ‘ka’ una semplice ‘k’, modificando parzialmente il simbolo tramite appositi segni, e per ottenere combinazioni di consonanti e vocali. Purtroppo, a volte queste combinazioni modificano a tal punto i simboli originali, che è praticamente impossibile riconoscerli e quindi sapere quali consonanti compongono una data combinazione se non la si è mai incontrata prima. In pratica possiamo dire che l’alfasillabario è una “via di mezzo” tra gli alfabeti come il nostro e il più complesso sistema di caratteri che, ad esempio, si ritrova in lingue come il giapponese.

Queste “fusioni” di simboli e segni non sono limitate all’abugida, ma contraddistinguono anche le parole stesse, con un fenomeno morfofonologico chiamato sandhi (dal termine sanscrito per “unione”) che regola dal punto di vista sia morfologico che fonologico, appunto, l’unione di due parole o due morfemi. Esistono due tipi di sandhi: quello interno, che in una parola modifica un suono – di solito anche nella scrittura – a causa della vicinanza di una particolare lettera (pensiamo, in italiano, al caso del verbo “imboccare”, derivante da “in + bocca”); e il sandhi esterno (in italiano chiamato anche raddoppiamento fonosintattico, in francese liaison), che avviene, invece, tra due parole “appiccicate” a livello della pronuncia ma che non si fondono insieme nella scrittura (ad esempio, provate a dire “un bambino”: noterete che in realtà quello che state dicendo è “umbambino”). Questi due tipi di sandhi sono estremamente comuni nella lingua telugu e comportano non poche problematiche (per i non madrelingua) durante la scrittura e la lettura.

Da un punto di vista più strettamente grammaticale, il telugu viene definito una lingua agglutinante, ossia che permette di specificare meglio il significato e la funzione di un termine grazie semplicemente all’aggiunta di uno o più suffissi. Se a questa caratteristica e a quanto detto sull’abugida e sul sandhi, aggiungiamo l’abbondante presenza di posposizioni (al posto delle nostre classiche preposizioni) e il fatto che la struttura della frase segue l’ordine Soggetto-Oggetto-Verbo (SOV), si noterà un interessante “spostamento del focus” verso la fine di parole e frasi, cosa che normalmente, invece, non avviene in italiano.

Una caratteristica molto positiva per noi italiani è il fatto che la maggior parte delle parole terminino per vocale. Occasionalmente, alcune parole possono terminare con quelle che nelle lingue draviditiche e nel sanscrito rappresentano delle semivocali: m, n, y e w. Un’altra positiva peculiarità di questo idioma è la mancanza di una distinzione tra consonanti aspirate e non aspirate, sebbene l’abbondanza di prestiti provenienti dal sanscrito e da alcune lingue europee abbiano in parte introdotto questa distinzione.

 

Per concludere, una piccola curiosità: di tutte le lingue draviditiche, il telugu risulta essere la più dolce e musicale, tanto che, per i suoi suoni melliflui e armoniosi, è stata definita l’ “italiano d’Oriente“. Curiosi di sapere se la fama è meritata? Guardate questo trailer e fateci sapere cosa ne pensate!

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